Quale modo migliore di cominciare se non dall’inizio?
Quando dico “inizio” intendo, ovviamente, il momento in cui ho scoperto di essere sieropositivo.
So già che non sarà facile parlarne, ma sono sicuro che i benefici saranno grandi e non solo per me….
Era il novembre del 2018, avevo appena avuto un incontro magico e straordinario….il mio vero primo colpo di fulmine. Vivevo a Parigi in quel periodo e D (chiamiamolo cosi’ d’ora in avanti) viveva a Caen, ma questo non fu mai il problema vero di questo capitolo della mia storia.
Dopo alcune “intense” settimane, decidemmo entrambi di sottoporci al test per stare tranquilli. Il mio ultimo test HIV lo avevo fatto poco meno di un mese prima, quindi ero abbastanza tranquillo del risultato.
D fece il suo test a Caen e io prenotai il mio al centro Figuiers alle metro di Saint-Paul. Era diventato parte della mia routine andar li almeno due volte l’anno, quindi non pensai assolutamente che fosse necessario farmi accompagnare da un amico.
Ricorderò sempre che prima di andare al centro passai dal calzolaio per lasciare i miei stivali A.P.C. di cui andavo particolarmente fiero. Non avevo idea che poco dopo, avrei totalmente perso quella spensieratezza.
Arrivai al centro alle 2 del pomeriggio circa, poco dopo l’orario di apertura e sfortunatamente era già molto affollato. Sentii chiamare il mio nome dopo poco tempo e prima di quello di persone che erano già li al mio arrivo.
Non ci pensai al momento, anche se di solito l’orine di arrivo veniva rispettato.
Mi sedetti ed ero tranquillo. Come ho detto, era un po’ una routine per me e quella situazione mi era abbastanza familiare.
Il dottore apri la busta. Mi disse con un tono molto calmo: “….e’ positivo”
La mia testa non elaboro’ perfettamente la frase in quel preciso momento. Mi dissi: se e’ positivo allora significa che va tutto bene, giusto? E naturalmente vidi nei suoi occhi che non era cosi’. Ricordo di aver sentito la mia testa ribollire, il mio stomaco preso dai crampi, mi sentii come sospeso in aria e non più’ li con il dottore, come se il mio corpo fosse li, ma la mia mente voleva scappare altrove
Il dottore mi disse di respirare profondamente, che avremmo dovuto ripetere il test per avere la certezza del risultato. Mi ricomposi e andai in infermeria. Tutto fu fatto con la massima discrezione e ricordo bene l’infermiera tanto gentile che sembrava volesse aiutarmi, ma io mi sentivo schiacciato, soffocavo e sapevo non avrebbe potuto far nulla per aiutarmi.
Tornai nell’ufficio del dottore: “non mandare messaggi alla tua famiglia subito, va a casa, ma non farlo subito. Hai bisogno di capire quello che sta succedendo”. Mi diede i contatti di un altro dottore che era “specializzato nel trattamento di pazienti sieropositivi”, mi disse che i risultati sarebbero stati mandati direttamente a questa clinica e che avrei dovuto incontrarlo a breve per definire i prossimi passi.
In quello momento non ero per nulla attento a dir la verità, non feci alcuna domanda, sapevo solo che 20 minuti prima ero perdutamente innamorato e che adesso non capivo cosa stesse succedendo.
Durante la visita ricevetti un messaggio da D che aveva appena ritirato il suo risultato:” e’ tutto a posto per me. Fammi sapere quando va be anche per te”.
Il problema era che per me non andava per niente bene….e che avevo una unica grande paura, oltre che per tutto il resto… che era quella di perderlo.
Lascia il centro, uscendo dalla porta sul retro. Anche se ora col senno di poi trovo questo atto molto negativo dal punto di vista simbolico, perché era come se sin dall’inizio mi fossi subito auto-condizionato a vergognarmi, ma in realtà non volevo che gli altri in sala di attesa mi vedessero attraversare la stanza in lacrime.
Mi sedetti sul marciapiede, da solo, e piansi…
Realizzai che avrei avuto bisogno di digerire quello che era appena accaduto e decisi subito di chiamare la mia responsabile a lavoro per dirle che sarei stato fuori ufficio per un periodo indefinito. Lei capi’ dal mio tono che c’era qualcosa di serio, ma fu molto rassicurante e mi disse solo di tenerla informata.
Camminai da Saint-Paul a Voltaire, la mia testa era completamente in panne, le lacrime mi segnavano il viso. Quei 20 minuti di camminata furono i più lunghi di tutta la mia vita.
Appena arrivato chiamai D e il mio silenzio misto al pianto gli fecero capire che non c’erano buone notizie. Pianse tanto insieme a me al telefono.
D non sarebbe potuto arrivare prima del giorno seguente, e cosi’ chiamai una delle mie sorelle che viveva a Parigi e le dissi che era molto urgente che lei venisse da me. Chiamai anche due dei miei migliori amici, uno dei quali compiva gli anni quello stesso giorno. Avrei voluto dargli tutt’altro regalo…
Mia sorella arrivo’ per prima e immediatamente mi abbraccio’ fortissimo dicendomi le parole più rassicuranti che potesse pensare. La sua forza mi diede sollievo. Convenimmo ti tenere questa cosa solo per noi per il momento. La distanza dai miei genitori e dalle mie altre sorelle avrebbe solamente fatto crescere l’ansia a dismisura ed era poi ovvio che il modo migliore di dirglielo era di persona e non al telefono.
Il marito di mia sorella (a quel tempo ancora il suo ragazzo) venne a casa mia poco dopo.
I miei amici arrivarono a fine giornata. L’atmosfera era ovviamente molto pesante. Decidemmo di andare a cena al locale sotto casa.
La presenza di mia sorella e dei miei amici mi diede l’impulso giusto per affrontare quel che restava di questo giorno: dovevo andare avanti.
Non ho un brutto ricordo di quella cena. Ricordo anzi di aver assaggiato per la prima volta l’anatra alla parmentier. E’ stupefacente come il cervello lavori, i ricordi a cui si aggrappi, a volte insignificanti.
D arrivo’ il giorno dopo, mi abbraccio’ e le mie paure di perderlo svanirono.
Era un buon inizio, stavo cominciando a metter in piedi il mio esercito per rimettere in piedi me stesso e affrontare le prossime fasi, che sapevo già non sarebbero state facili.
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