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Immagine del redattoreRemi

24 - INVISIBLE

Aggiornamento: 16 nov 2021




Illustration @mehdi_ange_r (INSTAGRAM)

Se mi seguite un po’ sui social, sapete gia’ sicuramente quello di cui vi parlero’ oggi.

In che modo l’HIV convive con la tua vita profesionale? O meglio ancora, come ho fatto a gestire entrambe le cose?


Credo sia interessante partire di nuovo dal momento in cui ho scoperto di essere sieropositivo.


A quell’epoca, nel 2018, lavoravo come supervisor a le Bon Marche’ per un brand di abbigliamento. Gestivo il mio corner da solo. Presi alcuni giorni di malattia all’inizio, proprio per poter digerire un po’ la notizia. Questi furono seguiti da una serie di assenze dovute ad appuntamenti dal dottore e vistite in ospedale. Mi resi subito conto che le mie continuate mancanze a lavoro avrebbero potuto avere un effetto negative sulle performance del mio corner. Allora chiesi all’azienda di essere trasferito in un negozio, cosi’ da non essere piu’ totalmente da solo e sentire meno la pressione ogni qualvoilta avrei dovuto assentarmi.

Sono stato coccolato dai miei colleghi per alcuni mesi. Non fu per niente un momento facile, ma ho davvero dei bei ricordi del team con cui lavoravo in quel periodo. Dall’altro lato non riuscivo a reggere il rapporto con i clienti. Il piu’ piccolo capriccio mi rendeva aggressivo e facevo tantissima difficolta’ a “filtrare”, anche perche’ in quello stesso periodo cominciai il trattamento farmacologico e gli effetti collaterali mi stavano sfiancando. Mancai parecchie volte nei primi sei mesi. Ebbi anche una specie di itterizia e quando tornai a lavoro in negozio mi accusarono persino di essermi fatto una vacanza al caldo e sotto il sole…..non era ovviamente nulla del genere.


La mia manager, che aveva davvero un attitudine molto materna verso tutto il team, aveva dato le dimissioni. Un ex-collega aveva preso il suo posto e aveva chiaramente un’ambizione che mi superava di gran lunga. Io non volevo adattarmi e sottomettermi. Non lo volevo. Io volevo solo essere circondato da un bozzolo confortevole e non essere disturbato e annoiato dal dover agganciare i clienti. Cominciai a valutare altri progetti, come ad esempio lasciare Parigi, visto che il mio compagno viveva a Caen in quell periodo. Poi quei progetti divennero realta’.

Un giorno fuoi convocato da HR per un colloquio in cui mi venne detto che i miei problemi di salute stavano prendendo “troppo spazio” e che avrei dovuto fare qualcosa. Chiesi di patteggiare una interruzione consensuale del contratto ad alcune condizioni, perche’ non avevo alcuna intenzione di dare le dimissioni. Dopo giorni di attesa e di «vedi, nessuno ha mai avuto una richiesta del genere qui…», la ottenni. Devo essere stato davvero problematico….


Me ne andai. Mi trasferii a Caen da D e fluttuai per nove mesi chiedendomi cosi avrei voluto fare della mia vita. Cercai cosri di formazione, aiutai il fratello di D con il suo progetti di apertura di un negozio, specialemtne per quanto riguardava la creazione del logo. Ho amato quell period: nove mesi senza lavorare, passata leggendo e pensando….


Quando io e D ci lasciammo, tornai subito a Parigi, con un attitudine e un energia completamente diverse rispetto a quando ero andato via. E finalemnte avevo chiara l’idea del lavoro che avrei volute fare e che mi avrebbe reso felice. Con il mio diploma in design di moda avevo naturalmente sviluppato un’attrazione per il merchandising durante la mia esperienza in negozio: allestire le verine, vestire i manichini, aoocuparmi della scenografia….decisi che doveva essere quello il mio lavoro.

Pur non sapendo assolutamente nulla di visual merchandising in quell momento, ebbi la fortuna di incontrare la persona giusta al momento giusto, che ebbe fiducia nelle mie potenzialita’.


Trovai velocemente un lavoro e decisi di non dire assolutamente nulla sulla mia sieropositivita’. Volevo essere trattato come tutti gli altri ed essere quanto piu’ invisibile si potesse. Fino al giorno in cui ebbi la sfortuna di parlarne ad una persona che non riusci’ a tenere a freno la lingua. Credo che l’intera azienda lo venne a sapere in pochissimo tempo. Poco prima che mi confidassi con questa collega, ero stato via da lavoro per un mese a seguito di un tentative di suicidio. La avevo fatta entrare nella mi sfera piu’ intima….per spiegarle quell oche avevo fatto, le ragioni che avevo avuto.

Come potete immaginare sicuramente il mio tentative di suicidio fu strettamente legato alla mia non accettazione del HIV, a tutti I radicali cambiamenti avvvenuti nell amia vita (trasferimenti, relazioni finite etc.) e soprattutto al fatto che ero incapace di verbalizzare come avevo contratto il virus. Il mio silenzio sulla storia dell’aggressione mi stave letteralmente divorando e non riuscivo a rendermene conto.


Ma il lavoro era l’unica cosa a tenermi lontano dai miei problemi e cosi’ trovai la forza di tornare e affrontare i miei colleghi quotidianamente, sapendo che praticamente tutti sapevano. Fu davvero difficile per me. Non avevo deciso io di dirglielo. Quindi il mio bisogno di invisibilita’ mi era stato strappato via e ora sentivo che mi stave divorando.

Nello stesso periodo, dovetti rimpiazzare la mia manager durante il suo congedo di maternita’. Durante quei sei mesi diventai piu’ sicuro di me stesso. Quando vidi tutte le mie nuove responsabilta’ essermi tolte al suo ritorno, fu davvero difficile…. il tutto acuito da una gestione del rapporto umano da parte sua davvero pessima.

Dopo l’ennesimo commento di troppo durante una sessione di feedback, sapevo gia’ mentre lei mi parlava che non avrei voluto mai piu’ metter piede in quel posto. E il giorno dopo presentai le mie dimissioni, consegnai il badge, la tessera sconto, chiesi che mi fosse concesso di andar via immediatamente senza prevviso. Mi fu accordato.


Credo che quella mia scelta, fu molto vicina a quella che si definisce sindrome da burn-out, non solo legata al lavoro, ma alla mia vita in generale. Vivevo in un appartamento condiviso con altre persone, andava molto male. Non c’era un posto in quel momento della mia vita in cui mi sentissi davvero a mio agio. A casa era orrible, a lavoro un vero e proprio inferno ed emotivamente ero devastato perche’ ero stato mollato da un ragazzo che frequentavo da qualche mese, senza alcuna spiegazione. Andava tutto storto.

Lasciai l’appartamento e andai a vivere a casa del mio migliore amico per qualche mese, finche’ non trovai un nuovo lavoro e un appartamento. Non potevo stare da lui per sempre e quindi di fretta e furia ricominciai a lavorare in un negozio come commesso. Contemporaneamente continuai a cercare un lavoro da visual e quello che trovai di li a poco, era perfettamente in linea con le mi aspettative in termini di responsabilita’.


L’HIV era sempre sotto stretto controllo, nonostante le nausea, la diarrea e i risvegli molto tormentati. Ho imparato da quell’esperienza che mi piaceva avere responsabilita’ e che potevo farlo bene con il rispetto e la benevolenza dei colleghi. In quel periodo il virus non era piu’ un ossessione, perche’ lo avevo fatto scomparire. Ero riuscito a trasformare la mia vita lavorativa in una sorta di bolla dove anche io ero il ragazzo commune, banalmente “normale”, quello che non potevo essere nell amia vita privata. Mi sono confidato a volte, quando i legami con alcuni colleghi si sono trasformati in amicizia, ma in quelle occasioni ero stato sempre io a scegliere di dirlo.


La menzogna era ovviamente all’ordine del giorno: “non ho sentito la sveglia”, quando avevo un appuntamento in ospedale. “ho preso un virus intestinale”, quando avevo cambiato i miei farmaci e avevo la nausea. Tutto quello che aveva a che fare con l’HIV era scomparso dal mio ambiente di lavoro. Avevo bisogno ancora di essere invisibile. Mi sembra ancora di sentire la manager del mio manager dirmi: sei di nuovo malato?

Perche’ si, la maggior parte delle volte che stavo male, andavo comunque a lavoro e dovevo trovare delle giustificazioni per la mia pessima cera!

Intanto l’azienda in cui lavoravo fu venduta. Cambiai due volte lavoro e datore di lavoro.


Fu in quel periodo che conobbi N, con cui sono stato per 4 anni.

E quando ci lasciammo nel 2016, piano piano mi concentrai di nuovo su me stesso, senza distrazioni e ovviamente i miei silenzi continuavano a consumarmi e mi costavano troppo nella mia vita personale.

Oggi sono molto fortunato perche’ ho finalemtne trovato un manager che sa come ascoltarmi, che ha accettato che lasciassi Parigi per andare a vivere a Bordeaux, lontano dall’uffico a cui mi appoggio, perche’ ha capito che il mio equilibrio personale dipendeva da questo. Circa un anno fa mi sono sentito pronto. Nulla mi spaventava piu’. La mia invisibilita’ non era piu’ necessaria, perche’ mi ero liberato di tutte le catene che mi trattenevano. Non avevo piu’ scuse per nascondermi. E soprattutto, non volevo piu’ farlo.


Credo che questi anni di silenzio siano stati necessari per ricostruire la mia autostima e per provare a me stesso che potevo intraprendere una carriera professionale assumendomi responsabilità senza paura di essere giudicato per essere sieropositivo (giudicato da me stesso e dagli altri). L'ho ampiamente dimostrato. Essere sieropositivo non ti impedisce di fare il lavoro che hai scelto. A volte è necessario dover organizzare bene il tempo per un appuntamento in ospedale e oggi, se devo andare, non mento più. Ho un rapporto di fiducia totale con il mio manager. Mi da tantissima soddisfazione poter semplicemente dire le cose com stanno, invece di dover perdere tempo ed energia a fabbricare bugie e realta’ alternative. Sono anche molto più orgoglioso di me stesso.


Il mio silenzio durato anni, e’ sicuramente dipeso dalla necessita’ che ho avuto di dover elaborare e accettare lo sconvolgimento che l’HIV ha portato nell amia vita, ma sono sempre piu’ convinto che anche il modo pessimo in cui questo tipo di temi vengono vissuti e trattati nella maggiorn parte degli ambienti lavorativi abbia inciso in maniera molto forte. Devo separare la mia vita personale dalla mia vita professionale? ….è un esercizio improbabile perché in entrambi i casi sto mentendo.

Quando guardo indietro e vedo i passi che ho dovuto fare per riavere il posto che dovevo occupare, tutto perché la società non sa come trattare con persone come me, mi dico che questo lavoro di educazione e informazione potrebbe essere fatto anche nelle aziende.

Come manager, frequento regolarmente corsi di formazione per essere consapevole delle molestie, della discriminazione, ecc.

Non ho le risposte su come le risorse umane delle aziende potrebbero affrontare questi problemi, ma sono convinto che si potrebbe fare un lavoro fondamentale.


Questo è anche il motivo per cui parlo, per creare un dialogo e uno scambio. Alcuni colleghi mi hanno naturalmente chiesto aiuto e i nostri scambi sono stati meravigliosi. Altri probabilmente hanno il timore di essere troppo invadenti.


C'è ancora un tabù sulla malattia, e deve essere rimosso. Potra’ potenzialmente diventare parte di tutte le nostre vite, in un modo o nell'altro, prima o poi, ed è certo che mantenere l'invisibilità sociale nei suoi confronti non porterà alcun beneficio.

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